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Oggi li chiamano “monolocali extra-small”: vanno dai 15 ai 22 metri quadrati e per descriverli usano frasi come “un mix di creatività, comfort e stile”. Forse, in alcuni casi la descrizione può essere calzante, ma nella scia di questo storytelling si è infilato di tutto: cantine imbellettate, solai ribattezzati mansarde, capanni per attrezzi arredati e corridoi promossi a “loft”. Spazi che fino a un anno fa non avremmo mai considerato dignitosi, oggi sono accolti nel novero delle abitazioni.

Il decreto salva-casa del ministro Salvini, che ha ufficialmente sdoganato il mercato delle micro-case, è stato proposto come un superamento delle vecchie norme sugli spazi abitativi. Il regolamento degli anni '70 garantiva, ad esempio, 14 mq minimi per abitante, 28 mq minimi per i monolocali con un inquilino, 38 mq per una coppia, oltre a stanze da letto di almeno 9 mq, soggiorni di 14 mq e l'obbligo di finestre apribili. Molti di questi requisiti di abitabilità sono stati superati per aprire il mercato alle micro-case, favorendo l’ennesima speculazione, con nuove opportunità di guadagno.

L’asticella si abbassa, la casa diventa un concetto approssimato, dove innanzitutto si approssima il diritto a una vita dignitosa e sana.

A sfumare i contorni concorre anche la stampa. Sul finire dell’estate, tutte le più importanti testate hanno rilanciato la storia di un giovane padre che vive in un’automobile: “26 anni, frigorifero, letto, cucina, piano per lavorare al pc, armadio per i vestiti, box doccia e toilette pieghevole: tutto nell’auto.”. “Si può vivere anche così e vedere la vita a colori”, dice lui. Prima, 7 anni da ospite di casa in casa. Poi, una Ford Focus, un lavoro da corriere e qualche progetto: “Passare a un camper non sarebbe male, però servirebbero almeno 10 mila euro. Ora guadagno circa 1.300 euro al mese e devo dare i soldi per il mantenimento di mia figlia. È un obiettivo per il futuro e conto di farcela”.

Ma allora quell’auto è una scelta o la conseguenza di un lavoro povero che non consente alternative? Lui, dal canto suo, fa bene a darsi animo, a non vedere nero. Ma chi confeziona questo racconto stravagante, non la vede sullo sfondo la fotografia di un Paese in cui anche chi lavora non riesce a permettersi una casa? E omettere questa evidenza, scegliere di anestetizzare un fatto grave in una cornice romantica, non vuol dire produrre un’aberrazione, un racconto miope della realtà? Una realtà difficile che ormai tocca non solo chi ha un lavoro cosiddetto povero, ma anche il ceto medio pienamente investito dalla crisi abitativa delle nostre città.

Il mercato degli affitti, infine, ci fa guardare nell’abisso, specie se consideriamo gli immobili destinati agli studenti e ai lavoratori e alle lavoratrici meno ricchə, quellə “prontə a tutto”: sgabuzzini, solai, cantine che con un colpo di vernice diventano “posti letto”. Sui social media sono nati canali che denunciano queste offerte e anche la stampa ha iniziato a occuparsene: “Bologna, 600 euro al mese per un microappartamento di soli 6 metri quadrati”, abbiamo letto in questi giorni su tutti i giornali nazionali. Ma chi sfoglia quegli annunci, sa che non è un’eccezione né un’esclusiva della città di Bologna. Paradossale poi che a tuonare contro quell’annuncio, a chiedere punizioni, sia stato proprio il ministro Salvini, quello che ha regalato agli speculatori il far west del mercato delle micro case.

Ma allora: cosa significa davvero "casa"?

Per noi, la casa è molto più di un semplice spazio fisico. È dignità, riposo, intimità, relazioni, pace, condivisione, rifugio, ricordi e affetti. È un luogo dove ci sentiamo al sicuro e accoltə.

È in atto una deriva pericolosissima, ed è per noi fondamentale denunciarla a voce alta, e costruire reti per arginarla e contrastarla. Perché ci porta in una direzione sbagliata, dove anziché garantire una casa a tuttə, chiamiamo “casa” spazi che non possono offrire ciò di cui abbiamo realmente bisogno. Per raccontarci che il problema è risolto, e invece non lo è affatto. Per anni come Piazza Grande abbiamo lavorato con persone senza dimora per farle arrivare a una casa dignitosa, ora stiamo assistendo ad un moto contrario che non solo porta le persone marginalizzate ad essere sempre più escluse, ma che coinvolge anche chi prima non era a rischio emergenza abitativa.

Ecco perché ti chiediamo di sottoscrivere questo appello e unirti alla nostra community, per mantenere alta l’attenzione e progettare assieme azioni di contrasto a questa deriva.

Difendiamo il diritto a una casa che sia davvero una casa.



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