BASTA SFRUTTAMENTO. Vogliamo una transizione giusta per il Made in Italy
Alle deputate e ai deputati della X Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati, alle e ai parlamentari del Parlamento italiano, al Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni
Il problema
È giusto che una scarpa venduta a 500 euro venga prodotta da lavoratori e lavoratrici che guadagnano 3 euro l’ora, lavorando sei giorni su sette in capannoni fatiscenti e insicuri?
Perché questa è la realtà.
Dietro l’etichetta Made in Italy si nasconde ormai troppo spesso un sistema di sfruttamento strutturale, fatto di turni massacranti, salari da fame, sicurezza inesistente, caporalato. Questo è ciò che accade ogni giorno nei laboratori nascosti delle periferie italiane, dove si concentrano le fasi più delicate della produzione.
A pagare il prezzo più alto sono persone rese invisibili, spesso migranti, senza contratti e razzializzate. Mentre i marchi costruiscono la loro immagine sull’eccellenza, chi rende possibile quella produzione lavora in condizioni che, di eccellente, non hanno nulla.
Perché agire ora
Il DDL PMI (Disegno di Legge sulle Piccole e Medie Imprese), approvato a ottobre dal Senato e ora in discussione alla Camera, introduce una certificazione volontaria di conformità della filiera che, dietro l’apparenza di trasparenza, nasconde un pericoloso scudo penale per le aziende capofila, anche in caso di caporalato nella subfornitura.
Nei prossimi giorni inizierà la discussione degli emendamenti alla Camera: il tempo per intervenire è poco, ma insieme possiamo fare la differenza. Dopo l’appello urgente lanciato l’11 novembre — a cui hanno aderito oltre 35 realtà, tra cui organizzazioni della società civile, sindacati e imprese — abbiamo deciso di lanciare una petizione rivolta alla Commissione Attività Produttive, al Parlamento e al Governo.
Richieste
Il Made in Italy non deve nascere dallo sfruttamento, ma dal lavoro dignitoso. Per questo chiediamo:
La cancellazione di qualsiasi forma di scudo penale nei confronti delle capofila verso le imprese delle proprie filiere (Art.30 C.2673) e la previsione specifica per la capofila di obblighi di controllo e gestione dei rischi di violazione di norme anche penali, dei diritti umani e del lavoro (cd. due diligence)
Una riforma ad hoc del settore moda, ispirata ai principi della transizione giusta e della responsabilità di filiera e costruita con il coinvolgimento di tutte le parti sociali interessate.
Per una transizione giusta del Made in Italy
L’industria della moda italiana ha bisogno di intraprendere un percorso virtuoso di transizione sociale e ambientale, che coniughi la produttività con il rispetto dei diritti delle persone e del Pianeta. La politica non sembra voler intraprendere questa strada. Ma insieme possiamo cambiarla.
Il caporalato non è accettabile, né ora né mai. Firma e diffondi la petizione per una transizione giusta del Made in Italy!
E se fai parte di un’organizzazione puoi anche firmare l’appello aperto alle adesioni di tutte le realtà della società civile e delle imprese che lo condividono: https://drive.google.com/file/d/1tw9ldTRQjCX-KOlCOOW-iXuhvO-Lu6Iw/view?usp=sharing
Sponsored by
To:
Alle deputate e ai deputati della X Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati, alle e ai parlamentari del Parlamento italiano, al Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni
From:
[Your Name]
L’industria della moda italiana ha bisogno urgente di intraprendere un percorso virtuoso di transizione tanto sociale quanto ambientale: è necessario abbandonare la logica del massimo profitto e adottare politiche pubbliche che permettano alle imprese del settore di coniugare la produttività con il rispetto dei diritti delle persone e dell’ambiente.
Come sta infatti oggi il Made in Italy? Fra indagini per agevolazione del caporalato che coinvolgono i grandi brand del lusso nelle catene di subappalti, delocalizzazioni e rilocalizzazioni con paghe da fame e sfruttamento spudorato delle persone in condizione di maggiore vulnerabilità, spesso migranti, fabbriche sempre più calde e fatiscenti dove si lavora anche 12 ore al giorno, sabati e domeniche compresi, il settore della moda italiano ha bisogno di cure.
Per questo motivo la certificazione di conformità della filiera introdotta dal Capo VI del DDL PMI attualmente in discussione alla Camera (C.2673) non è sufficiente a risolvere i gravi problemi del settore. Anzi crea un problema più grande: da un lato grava le imprese della filiera di ulteriori oneri burocratici e di costi per l’attuazione, dall’altro non solo non chiede alle grandi imprese capofila nessuna reale modifica nelle proprie pratiche di acquisto e di governance della filiera, ma addirittura concede un esonero della responsabilità per caporalato a vantaggio esclusivo proprio delle capofila (cd. scudo penale).
Una misura che dovrebbe essere a favore delle PMI, in pratica grava le PMI e avvantaggia le grandi aziende. Separando ancora una volta ciò che dovrebbe essere unito: la filiera dalla sua capofila. Lo scudo penale previsto dall’art. 30 del DDL PMI è una previsione che offende il senso comune di giustizia. Il messaggio che manda è che gli eventi gravissimi a cui abbiamo assistito non sono da prendere sul serio, sminuendo la gravità delle condizioni di lavoro e delle violazioni che sono all’ordine del giorno, strutturali alla produzione della moda, anche in Italia e anche nel lusso.
La certificazione di conformità, come viene proposta nel Capo VI del DDL PMI, rappresenta l’ennesima soluzione meramente formale e documentale, che nei fatti non cambia nulla. Servono misure proattive, di prevenzione e di controllo, non misure cartolari che deresponsabilizzano i marchi committenti. La parola responsabilità porta con sé il concetto di risposta: questa previsione normativa è tutt’altro che una risposta.
Il Made in Italy non ha bisogno di un trattamento cosmetico, ma di una cura ricostituente: una riforma del settore specifica, seria e meditata, che tenga conto delle crescenti responsabilità delle capofila per l’impatto delle proprie pratiche di acquisto sulle filiere e che metta al centro la tutela dei lavoratori, delle lavoratrici e dell’ambiente. Una riforma che porti il settore verso una transizione giusta, sociale e ambientale, che crei benessere condiviso e distribuisca equamente il valore generato lungo la filiera, riduca le emissioni di CO2 e l’impatto della moda sul clima, limiti l’uso di sostanze chimiche tossiche e di tessuti non riciclabili, favorisca il design circolare, il riuso e il corretto smaltimento dei rifiuti tessili.
Chi lavora nelle filiere italiane, le imprese che hanno investito nella sostenibilità, soprattutto le PMI cuore del nostro tessuto produttivo, anch’esse vittime della concorrenza sleale generata da questo sistema, e tutte le persone che in questo paese comprano moda si aspettano una eccellenza diversa.
Non vogliamo vergognarci del Made in Italy. Per questo motivo chiediamo:
La cancellazione di qualsiasi forma di scudo penale nei confronti delle capofila verso le imprese delle proprie filiere (Art.30 C.2673) e la previsione specifica per la capofila di obblighi di controllo e gestione dei rischi di violazione di norme anche penali, dei diritti umani e del lavoro (cd. due diligence);
Una riforma ad hoc del settore moda, ispirata ai principi della transizione giusta e della responsabilità di filiera e costruita con il coinvolgimento di tutte le parti sociali interessate.
Primə firmatarə:
1. Alberto Alemanno, professore ordinario Jean Monnet all’École des hautes études commerciales, fondatore The Good Lobby
2. Federico Anghelé, direttore The Good Lobby Italia
3. Guendalina Anzolin, economista, presidente Paese Reale
4. Romana Barba, fotografa
5. Angelica Bonfanti, professoressa associata di diritto internazionale
6. Marco Bona, Foro di Torino, dottore in ricerca diritto privato comparato
7. Ivana Borsotto, presidente FOCSIV ETS Federazione degli organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana
8. Erica Brunetti, presidente Tramaplaza
9. Nerina Boschiero, professoressa ordinaria di diritto internazionale pubblico, Università degli Studi di Milano
10. Maria Cafagna, autrice
11. Laura Calafà, professoressa ordinaria di diritto del lavoro, Università di Verona
12. David Cambioli, presidente Equo Garantito - Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale
13. Maurizio Carucci, cantautore, agricoltore, viaggiatore italiano
14. Dario Casalini, CEO Maglificio Po
15. Sarah Caudiero, co-coordinatrice SUDD Cobas
16. Niccolò Cipriani, CEO Rifò Lab
17. Francesca Coin, sociologa
18. Andrea Danilo Conte, avvocato giuslavorista
19. Cristina Cotorobai, eco-influencer
20. Roberto Cruciani, attivista e divulgatore
21. Pasquale Demuro, Professore di Sustainable Human Development, Università degli Studi Roma Tre
22. Giuseppe Di Francesco, presidente Fairtrade Italia
23. Madia d’Onghia, professoressa ordinaria di Diritto del Lavoro, Dipartimento di Giurisprudenza - Università degli Studi di Foggia
24. Annalisa Dordoni, Università degli Studi di Milano-Bicocca
25. Marco Fasciglione, professore associato e ricercatore di diritto internazionale e di tutela dei diritti umani, Centro Nazionale delle Ricerche (CNR)
26. Francesco Gesualdi, Centro Nuovo Modello di Sviluppo
27. Elisabetta Grande, professore ordinario diritto comparato Università del Piemonte Orientale
28. Paola Imperatore, assegnista di ricerca, Università di Pisa
29. Emanuele Leonardi, professore Associato, Università di Bologna
30. Deborah Lucchetti, presidente Fair e coordinatrice nazionale Campagna Abiti Puliti
31. Annagaia Marchioro, attrice e attivista
32. Antonio Mariconda, Università degli Studi di Milano
33. Walter Massa, presidente ARCI
34. Ugo Mattei, professore di diritto civile Università di Torino e Presidente di Generazioni Future
35. Teresa Masciopinto, presidente Fondazione Finanza Etica
36. Tony da Milano, agitatore radiofonico
37. Alessandro Mostaccio, segretario generale, Movimento Consumatori APS
38. Nogaye Ndiaye, giurista, scrittrice e divulgatrice
39. Marco Omizzolo, docente Sociopolitologia delle migrazioni, Università Sapienza di Roma
40. Giorgia Palmirani, divulgatrice e content creator
41. Giorgia Pane, assegnista di ricerca, Università degli Studi di Milano
42. Alberto Piccinini, presidente Associazione Comma2 - Lavoro è Dignità
43. Venera Protopapa, professoressa associata di diritto del lavoro, Università di Verona
44. Chiara Ragni, professore ordinario di diritto internazionale, Università degli Studi di Milano
45. Francesca Rispoli, presidente, Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie
46. Martina Rogato, presidente Human Rights International Corner e UN ambassador
47. Lorenzo Sacconi, professore Ordinario di politica economica presso il Dipartimento di diritto pubblico italiano e sovranazionale, Università degli Studi di Milano
48. Veronica Sgariglia, private tailor
49. Sara Sozzani Maino, creative director Fondazione Sozzani
50. Marina Spadafora, coordinatrice nazionale italiana di Fashion Revolution
51. Silvia Stella Osella, consulente creativa
52. Annamaria Tartaglia, Angels4Women Executive Director, Senior Advisor Women 20 (G20) e Co Chair Women 7 (G7 Italy 2024)
53. Luca Toscano, co-coordinatore SUDD Cobas
54. Lorenzo Trucco, presidente, ASGI
55. Marco Tufo, assegnista di ricerca e avvocato, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
56. Matteo Ward, CEO WRAD